
Territorio: dove l’Osteopatia incontra le persone. Intervista a Vito Adragna
Vito Adragna è da anni parte della squadra CSOT, dove è, fra le altre cose, tra i responsabili del dipartimento di ricerca. Da osteopata, ha avuto un punto di vista privilegiato riguardo alla diffusione della nostra specialità terapeutica in territori molto diversi della Penisola. La sua esperienza si colloca in quel tempo e quello spazio cruciali che l’Osteopatia ha attraversato negli ultimi decenni: da disciplina accettata a fatica all’individuazione di un suo status indipendente, in procinto di diventare professione sanitaria a tutti gli effetti; da illustre sconosciuta (o quasi), in aree come la Sicilia, a rimedio per la salute che molti preferiscono a soluzioni più invasive. Anni in cui la consapevolezza intorno all’Osteopatia è cresciuta, di pari passo con la sua diffusione in Italia. Fino ad oggi, con il territorio che diventa il luogo privilegiato in cui una domanda sempre più informata di servizi osteopatici incontra un’offerta giocoforza sempre più qualitativa.
- Quando si parla di Osteopatia e territorio si intende solo il rapporto tra il singolo professionista e l’area in cui esercita oppure possiamo dire che si tratta di una relazione che coinvolge delle “strutture”?
Forse fino a qualche anno fa, parlando di Osteopatia e territorio si poteva intendere quasi esclusivamente il rapporto tra il professionista e l’area in cui si svolgeva la sua attività. Adesso, si può iniziare a parlare di una relazione che coinvolge diverse strutture; sia grazie la legge che sancisce l’individuazione dell’Osteopatia come professione sanitaria sia perché sempre più sono le realtà presenti nelle realtà ospedaliere – come ambulatori e servizi di Osteopatia, anche se di poche giornate alla settimana.
- Sui territori, la maggiore consapevolezza che circonda oggi l’Osteopatia ha prodotto qualche cambiamento nell’offerta e nella domanda di servizi osteopatici?
Innanzitutto, la mia esperienza professionale nel Centro e nel Sud Italia mi ha fatto apprezzare la progressiva crescita di consapevolezza nei pazienti. Quando nel 2006-2007 facevo il mio tirocinio come studente di Osteopatia a Roma, le persone che si rivolgevano a noi sapevano che cosa fosse l’Osteopatia, chiedevano ad esempio un trattamento viscerale piuttosto che strutturale, quando ancora in Sicilia, da dove vengo e dove vivo, non si incontrava nei pazienti questa coscienza dell’Osteopatia. Poi, nell’arco degli ultimi dieci anni, le cose sono cambiate, ed anche in Sicilia adesso è così. Ed è questa aumentata consapevolezza ad aver cambiato sia la domanda che l’offerta. Innanzitutto sul versante della domanda, perché il paziente sa che si può affidare all’osteopata, di cui sente parlare e di cui intuisce la prossimità sempre maggiore alla professione sanitaria. Le persone si informano ed esigono un approccio da parte nostra che includa una migliore spiegazione, domandano se ci sia un riconoscimento a livello delle strutture sanitarie, a livello scientifico. Più pazienti si avvicinano all’Osteopatia, più preparati, e quindi l’osteopata deve essere all’altezza di rispondere. Inoltre, la stessa maggiore consapevolezza c’è da parte dei professionisti sanitari, per cui si fanno più prescrizioni o anche solo raccomandazioni di trattamenti osteopatici.
- Le differenze territoriali locali influenzano il tipo di assistenza richiesta agli osteopati?
Sì, le differenze territoriali locali influenzano il tipo di assistenza richiesta, sempre in funzione del grado di consapevolezza da parte delle persone. E’ ovvio però che di base ci deve essere una risposta univoca da parte degli osteopati. In quanto professionisti della salute, deontologicamente il comportamento che si deve avere nei confronti di chi si rivolge all’Osteopatia deve essere uguale per tutte le tipologie di pazienti. Poi è chiaro che il paziente più consapevole farà probabilmente una richiesta più articolata e avrà una risposta diversa al trattamento.
- Nella comunità degli osteopati, si è mai discusso di organizzarsi collettivamente per integrare la sanità locale?
Se per comunità degli osteopati intendiamo i singoli professionisti o anche le scuole che si coordinano per trovare delle strategie di coinvolgimento o di integrazione con la sanità locale, credo che questo ancora non sia avvenuto. Ci si sta muovendo invece dal punto di vista associativo, cioè delle maggiori organizzazioni a cui fanno capo gli osteopati, come il Roi e come l’Aiso, per promuovere l’Osteopatia interagendo anche con le strutture sanitarie territoriali.
- Didattica osteopatica e territorio: non si potrebbe integrare di più queste due dimensioni, rendendo parte organica della formazione l’esperienza fuori dalle strutture scolastiche?
Sicuramente. Il CSOT, come Scuola, si è attivata per promuovere il tirocinio clinico – o meglio parte del tirocinio clinico – all’interno di strutture sanitarie. Fino ad ora soltanto private, come studi di liberi professionisti, ma l’obiettivo è quello di estendere il programma a realtà più grandi. Il rapporto tra didattica e territorio dovrebbe però essere esportato anche al di fuori del solo tirocinio, in vista di una collaborazione più organica tra strutture per l’insegnamento e sanità locale.